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domenica 15 gennaio 2017

Manuale di Superiorità



Razzismo e Dio come errori linguistici e il problema del linguaggio che genera cultura





Sono il migliore

A tutti è capitato almeno una volta di considerarsi, a torto o a ragione, molto bravi in qualcosa; e di provare quell’autocompiacimento così largamente condiviso nella sua forma più lieve e transitoria. In alcuni casi, però, la soddisfazione può raggiungere intensità tanto elevate da rasentare, anche solo per un attimo, il delirio di onnipotenza. In quei momenti la spina dorsale si raddrizza, la nebbia mentale si dissolve, la vista diventa più acuta e la lingua più sciolta. Chiunque abbia sperimentato queste sensazioni sa che, in quel lasso di tempo rubato alla realtà, ogni nostra facoltà risulta amplificata e lucida, mentre la fiducia nei propri mezzi diventa sconfinata. Nello sport si parla di Flusso, Zona, Trance agonistica… nell’arte si chiama ispirazione.

Allo scopo di raggiungere e mantenere questo meraviglioso stato mentale negli ultimi decenni si è sviluppata e ha prosperato la cosiddetta filosofia del pensare positivo - o filosofia dell’ipocrisia, come sostengono alcuni. Il segreto - secondo quanto affermano non solo coach e santoni ma anche medici e psicologi - consisterebbe in soldoni nel ripetere a sé stessi con convinzione: sono il migliore, sono il migliore, sono il migliore… in una riproposizione riveduta e corretta del vecchio metodo Coué risalente ai primi anni del Novecento. Non si sa quali e quanti benefici siano stati ottenuti in questo modo ma verrebbe da obiettare che se davvero fosse così semplice, saremmo tutti “il migliore” in qualche modo. In ogni caso chiunque non raggiunga i risultati sperati pur impegnandosi in accurate ripetizioni del mantra accompagnate da dettagliatissimi esercizi di visualizzazione, viene accusato di non averci messo la giusta convinzione, di aver avuto poca fiducia, di non averci creduto abbastanza.

Poco meno di due secoli fa, Schopenhauer dava alle stampe un libro dal titolo La Libertà del Volere Umano, nel quale affermava l’ovvia evidenza che: si può fare ciò che si vuole, ma non si può volere ciò che si vuole. Come dire: in un mondo acculturato The Secret sarebbe stato un flop editoriale. La volontà, in definitiva, non ha potere nel regno dei sentimenti, tantomeno nel mondo fisico al di fuori della psiche umana. Ciò vale naturalmente anche per la fiducia in sé e il sentimento di superiorità che ne deriva. Non possiamo semplicemente decidere di essere i migliori e pretendere di sentirci tali; come non possiamo decidere di amare o odiare qualcuno, evidentemente. Se la trippa mi fa vomitare, posso stare anche dei mesi a visualizzare me stesso mentre sguazzo felice in oceani di trippa, alla fine mi farà sempre vomitare.

Il sentimento di superiorità alla base di ogni sicurezza dunque, come qualsiasi altro sentimento o gusto, sfugge al nostro controllo. Questa ineffabile tendenza psicologica a enfatizzare l’immagine di sé non si lascia imbrigliare da calcoli di convenienza. La nostra autostima vive di vita propria.

Non solo Uomo

L’autostima è una creazione della mente che ci fa muovere in determinate direzioni. Come la mente, l’autostima non è esclusiva dell’essere umano.

La mente

A un certo punto del cammino evolutivo compare la capacità di costruire e far muovere immagini all’interno di uno spazio virtuale che simula la realtà. Nasce così la mente che diventa patrimonio di una cospicua parte del regno animale, raggiungendo nell’uomo le vette più elevate. L’indubbio vantaggio consiste nel poter fare nello spazio mentale quegli esperimenti che, se effettuati nella vita reale per tentativi e errori, potrebbero costare caro. 
In questo spazio mentale, istinti e desideri vengono elaborati e diventano sentimenti. Il sentimento di superiorità, di conseguenza, è una creazione mentale che l’uomo condivide con moltissime altre specie animali.
Autostima e sentimento di superiorità, inoltre, coincidono; sono due facce della stessa medaglia.

Gerarchie

Possiamo spingerci più avanti e affermare che il sentimento superiorità è alla base di tutte le società animali più complesse.
Le gerarchie di dominanza sono particolarmente comuni negli animali che formano associazioni individualizzate, nelle quali ciascun individuo riconosce singolarmente tutti gli altri. Si esprimono come diverso grado di precedenza nella utilizzazione di determinate risorse nell'ambito del gruppo sociale. Le posizioni di rango vengono in genere stabilite attraverso lotte, i cui esiti determinano la posizione individuale all’interno della gerarchia. Stabilito l'ordinamento gerarchico, ogni individuo si sente superiore rispetto quelli che lo seguono, mentre esibisce un comportamento sottomesso nei confronti di quelli che lo precedono in scala di importanza. Questi sentimenti mutano non appena si modifica l’ordinamento sociale, dimostrando la loro estrema adattabilità alle variazioni.

Programmi

Gli atteggiamenti del dominatore e del dominato sono stereotipati, hanno cioè un’origine genetica. Sono a tutti gli effetti dei programmi che si attivano o si silenziano al mutare delle condizioni ambientali. Il sentimento di superiorità scaturisce ogni volta che si attiva il programma del dominatore.

L’esempio del gorilla

Mentre i gorilla femmina e i giovani maschi si costruiscono un nido fra i rami più robusti degli alberi, i maschi adulti (detti silverback per il color argento della schiena) invece trascorrono la maggior parte del tempo a terra, non temendo alcun pericolo, a guardia degli alberi dove vivono gli altri membri del branco. Questo atteggiamento è considerato all'interno del branco una manifestazione di potere e denota una sicurezza che non può provenire altrimenti che da un sentimento di superiorità.

Sistema immunitario

Gli individui sicuri di sé si ammalano meno e vivono più a lungo. 
I movimenti, e in genere le attività, di un individuo dominante sono continuamente osservati dagli altri componenti del gruppo che, grazie a questa attenzione, coordinano la loro attività con quella dell'individuo dominante. Questa attenzione riflette anche una tensione interna che ha basi fisiologiche e neurologiche. Nel topo di laboratorio, per esempio, gli individui soggetti a frequenti attacchi (subordinati), mostrano un livello ematico di adrenalina più elevato, che indica uno stato di allarme continuo e implica una minore resistenza ad alcune malattie, e nei piccioni, gli individui di basso rango si mostrano meno capaci di apprendimento, ma migliorano notevolmente le loro prestazioni se artificialmente si permette loro di acquistare un rango più elevato.

Natura e Cultura

Nell’uomo la natura non è l’unica fonte di autostima e di gusti; e nemmeno quella più importante, se vogliamo stare a guardare. I sentimenti, l’autostima e i gusti umani, sono essenzialmente di origine culturale o mista. 
Natura è tutto ciò che rientra nella sfera naturale, che non viene appreso, ma si manifesta in modo istintivo, perché radicato nell’essenza genetica degli esseri viventi.
Cultura è invece tutto ciò che rientra nel campo della costruzione dell’uomo in quanto animale sociale nelle forme che egli utilizza per rapportarsi agli altri e al mondo che lo circonda.

Il sentimento di superiorità e quello di inferiorità, fondamento di ogni aggregazione sociale animale non umana, sono assolutamente naturali: il cane non impara a metter la coda fra le gambe per mostrare la sua sottomissione o a tenerla ben alta quando invece risulta capobranco; ma gli viene naturale perché sono comportamenti stereotipati scritti nel patrimonio genetico di ogni esemplare. Questa è Natura.
I sentimenti e i gusti umani invece sono culturali cioè costruiti. Basti pensare alle influenze culturali che subiscono le preferenze alimentari nell’uomo, a differenza di tutte le altre specie animali dove invece sono geneticamente determinate. Analogamente, esiste un corrispettivo culturale del sentimento di superiorità che non dipende più soltanto da motivi immediati e contingenti come una vittoria conseguita in una lotta, ma che si genera grazie a motivazioni di ordine, appunto, culturale.

Il risultato è che mentre un gorilla si sente superiore per aver vinto uno scontro fisico con un proprio simile, un uomo si ritiene superiore per il colore della pelle o per la posizione sociale ereditata alla nascita. La differenza sostanziale è che questo sentimento di superiorità prettamente umano non è più relativo ma è diventato assoluto.

La superiorità nell’uomo

Quando un animale vince una competizione contro un suo simile, si attiva il programma genetico del dominatore, che a livello emozionale si traduce in un sentimento di superiorità rispetto allo sconfitto o agli sconfitti. Quest’atteggiamento di superiorità persisterà finché il vincitore sarà fisicamente in grado di difendere la posizione di privilegio acquisita; solo, cioè finché sarà effettivamente il più forte. Quando un altro individuo dovesse dimostrare di avere maggiore forza e coraggio, diventerà egli stesso dominante scalzando il precedente che smetterà di sentirsi superiore per diventare un sottomesso come tutti gli altri.
Il senso di superiorità animale è dunque temporaneo, relativo e funzionale al successo del gruppo che in questo modo si assicura sempre il comando da parte del più forte.

L’uomo invece è capace di sentirsi superiore anche senza un motivo reale e addirittura anche nei confronti di chi ritiene più forte o capace di lui. Alla fine della Grande Guerra, i tedeschi consideravano gli ebrei i veri responsabili della disfatta. Con il loro denaro, si affermava, essi avevano finanziato gli eserciti dei nemici del Reich e dunque, a guerra finita, si disse che erano loro i padroni della nuova Germania umiliata e sconfitta. Si presupponeva cioè che gli ebrei avessero un potere enorme, che fossero tutti uniti e ben organizzati, che avessero ordito un grande piano per conquistare il potere mondiale e che stessero riuscendo nel loro intento. Tale concezione era largamente condivisa fin dalla metà dell’Ottocento e questo dimostra quanto Hitler fosse espressione del suo tempo più che un pazzo isolato saltato fuori dal nulla. Da una parte, dunque, si riconosceva alla popolazione ebraica il potere di decidere le sorti di una guerra (gli si inferiva enorme forza e potenza) dall’altra però si considerava quello stesso popolo inferiore dal punto di vista razziale. Com’è possibile?

Come può un popolo essere allo stesso tempo potentissimo e inferiore? Se la forza, la scaltrezza e l’ingegno possono appartenere anche alle razze inferiori, su cosa si basa il sentimento di superiorità di una razza su un’altra?  La risposta è semplice: su quell’effetto collaterale della lingua che genera cultura. Attraverso la cultura l’uomo costruisce una realtà fittizia che gli offre la possibilità di muoversi in uno spazio immaginato a proprio uso e consumo. 
Lingua e cultura sono due aspetti di una stessa cosa.

Un problema linguistico: l’assoluto

Il linguaggio nasce con l’intento di trasferire la realtà da un individuo a un altro in maniera tale che l’esperienza di un singolo diventi patrimonio di un gruppo, con un evidente ed enorme vantaggio evolutivo. Se il mondo viene tradotto in parole, fra linguaggio e realtà si istaura un rapporto di identità per cui, quando ascoltiamo qualcuno, diamo materialità alle sue parole cioè reifichiamo i suoi termini in modo da poterli immaginare. La comprensione non è altro che la capacità di passare dal suono delle parole alla materialità del mondo attraverso l’immaginazione. La reificazione dei termini quindi diventa un riflesso cruciale ed esclusivamente umano che da una parte ci fa vivere le esperienze altrui, ma dall’altra ci fa scambiare il linguaggio per realtà, inducendoci all’errore. 
Esempio: Maria è bella. Con questa semplice frase voglio dire che l’aspetto fisico di Maria è a mio parere gradevole. E fin qui nessun problema. Ma dire che una persona è bella significa inventare un termine generale per questa caratteristica cioè derivare dall’aggettivo bella il sostantivo bellezza. L’aggettivo viene così sostantivato. Ora, è chiaro che la parola bellezza non ha alcun significato se non la si riferisce a una persona e non si forniscono termini di paragone (ha senso, cioè, solo se strettamente contestualizzata), tuttavia la semplice esistenza del termine fa sì che la nostra mente gli assegni un significato assoluto, sciolto da ogni contesto e in un certo senso materiale per poterlo immaginare. Quindi la bellezza, diventa Bellezza e acquista la stessa sostanza di un tavolo, di una sedia o di un cavallo (sostanza che, nella realtà, non possiede).
Dal momento che la lingua nasce indissolubilmente legata alla realtà, allora i suoi termini devono essere reali, devono descrivere qualcosa che esiste e dunque la bellezza deve esistere in sé. Trasformare un aggettivo in sostantivo, del resto, non vuol dire altro che dargli sostanza. Fin dalle origini della civiltà parole come forza, ira, sapienza, saggezza sono state interpretate in maniera assoluta e si è dato loro sostanza al punto che ciascuna di esse ha rappresentato (o rappresenta) una divinità.

Aggettivi che hanno senso in contesti specifici, acquistano vita propria se vengono sostantivati e confusi con la realtà quando di reale non hanno più nulla. Nasce così un mondo alternativo a quello materiale che prende il nome di cultura.

Assieme a Giustizia, Bene e Male, la Superiorità fa anch’essa parte di questa categoria di termini fasulli.
Il concetto di superiorità (come quello di bellezza) non ha senso se non lo si riferisce a elementi comparabili - chiunque è superiore a qualcun altro in uno specifico campo - ma preso in senso assoluto viene dotato di una realtà che non possiede causando implicazioni tanto pericolose quanto infondate.
La superiorità assoluta non esiste al di fuori dell'uomo, ma esiste dentro l'uomo sotto forma di convinzione profonda, sovente inespressa ma sempre avulsa dalla realtà. 
Una simile convinzione, proprio perché basata sul nulla, è irriducibile e sfugge a ogni tipo di ragionamento critico. Perciò, quando un popolo, una razza, una stirpe si considera superiore, lo fa in maniera definitiva e assoluta.

Giustificare l’assurdo

Un’altra importantissima conseguenza della sostantivazione dell’aggettivo superiore è la necessità culturale di Dio che ne scaturisce. Se la superiorità esiste al di fuori di ogni contesto, infatti, non può che incarnarsi nell’essere superiore per eccellenza, cioè Dio. Un popolo che si ritenesse superiore a tutti gli altri, dunque, in assenza di motivazioni reali deve necessariamente derivare questa superiorità intrinseca da qualcosa di sovrumano e soprannaturale. Da qualcosa, cioè, di inesistente perché inesistente è il significato dell'aggettivo-sostantivato. In questo modo la superiorità non può essere messa in discussione, perché ciò che non esiste non si lascia imbrigliare dai fondamenti del pensiero critico che sono logica e ragione. Ciò che non esiste deriva sempre da Dio.
Fin da tempi remotissimi - dice Freud nel suo Mosè e il Monoteismo - tutti i popoli civili hanno celebrato nella leggenda e nella poesia i loro eroi nazionali, assegnando loro un’origine divina. In particolare, la storia della nascita e dei primi anni di queste persone fu arricchita di tratti fantasiosi, la cui incredibile somiglianza, talvolta la corrispondenza letterale, in popoli diversi, separati da grandi distanze e del tutto indipendenti tra loro, è nota da tempo e ha colpito molti studiosi. Sargon di Agade (fondatore di Babilonia), Mosè, Romolo, Ciro di Persia, Gilgamesh, Perseo, Eracle… sono eroi diversi la cui epopea risulta sorprendentemente simile se non identica in molti tratti.
Il divino, dunque, nasce come effetto collaterale di un errore linguistico; di conseguenza, conserverà il carattere di assurdità in ogni suo aspetto.

Sentimento di superiorità post illuminista

Si potrebbe a questo punto obiettare che il sentimento di superiorità di una razza non abbia sempre avuto una giustificazione divina e che anzi il caso più eclatante (quello della Shoah) sia stato ispirato dalla scienza più che dalla religione. Ma è un'obiezione errata perché la causa di un sentimento di superiorità assoluto è sempre di origine soprannaturale e non potrebbe essere altrimenti. Le radici del razzismo ariano nei confronti dei semiti affondano nella mitologia. La scienza (e in particolare la teoria darwiniana dell'evoluzione per selezione naturale) è stata in quel caso storpiata e fraintesa allo scopo di corroborare la mitologia divina che ne stava alla base.
Con l’avvento dell’illuminismo le ragioni teologiche decadono, perciò l’uomo si rivolge altrove. Vengono usate le scienze per dimostrare la superiorità, se non di un popolo, di una razza. Vengono fuori caratteri somatici indicativi di intelligenza o degenerazione, si parla di bellezza assoluta, vengono effettuate misurazioni accurate del cranio dell’angolo facciale, delle orbita, della radice nasale, nascono continuamente nuove razze e sottorazze in cui suddividere l’umanità. Ma ciascuna di queste discipline pseudoscientifiche rappresenta un mezzo per giustificare un concetto assoluto (quello della superiorità di una razza) che deve necessariamente fondarsi nel soprannaturale. 

Razzismo sovrumano

La Storia ci insegna che tra Dio e un popolo esiste un legame indissolubile che sfocia nell’identità. Ogni comunità, ogni aggregazione, ogni tribù si caratterizza in base agli dèi che venera.

La superiorità assoluta, non esiste. La necessità dell’assoluto nasce da un difetto strutturale della lingua che permette costruzioni avulse dalla realtà. Se nella natura di ogni popolo c’è il bisogno di essere eletto, prescelto, unico, superiore, a questa necessità può rispondere solo l'incarnazione sovrannaturale della superiorità, cioè Dio. 

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