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lunedì 26 giugno 2017

Che Cos'è la Mente Bicamerale?

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Quella della mente bicamerale è una delle teorie più affascinanti della psicologia moderna e, sebbene sia così strana da non poter essere ragionevolmente accettata senza riserve, ha di certo il grande merito di aver allargato l’orizzonte delle possibilità nel difficile studio della mente umana.



Julian Jaynes, lo psicologo sperimentale artefice di questa teoria, sostiene che i primi egizi, i sumeri, gli assiri i babilonesi… insomma i popoli agli albori della civiltà avevano una struttura mentale diversa dalla nostra, e che in pratica questi popoli costruivano città, organizzavano monarchie e fondavano civiltà senza essere coscienti ma solo seguendo voci allucinatorie che venivano attribuite agli dei e che in realtà provenivano da una delle due metà della loro mente bicamerale.
Ma cos’è la mente bicamerale?
Bicamerale significa composta di due camere separate. La mente bicamerale è una mente divisa in una parte direttiva chiamata dio e una parte soggetta chiamata uomo. Nessuna delle due parti è cosciente. L’uomo bicamerale non è cosciente, nonostante ciò, costruisce capanne, assembla utensili e usa il linguaggio.

Ma è possibile fare tutte queste cose in maniera automatica senza esserne consapevoli?
A quanto pare sì, è possibile. Nel suo libro più famoso intitolato il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Jaynes dimostra in maniera piuttosto convincente come molte delle azioni considerate prettamente umane (e quindi altamente coscienti) possano essere compiute in maniera del tutto inconsapevole. Attività come apprendere, elaborare concetti, pensare e addirittura ragionare non hanno necessariamente bisogno di una coscienza.
Nel libro, vengono riportati numerosi esempi a sostegno di questa tesi ma basti pensare al fenomeno del sonnambulismo per avere un’idea di cosa si possa fare senza essere coscienti. Sono descritti casi di sonnambuli che addirittura arrivavano a cucinare piatti elaborati mentre dormivano. Ma possiamo anche pensare alle mille azioni che facciamo in maniera automatica mentre siamo per esempio alla guida di un’automobile… cambiamo le marce, rallentiamo, ci fermiamo a un semaforo rosso, effettuiamo sorpassi, il tutto mentre la nostra coscienza è impegnata magari in una conversazione con il passeggero, o nella programmazione della giornata successiva.
Insomma la coscienza, secondo Jaynes, sarebbe una conquista molto recente. Prima della mente cosciente la psiche umana era di tipo bicamerale e il passaggio dalla mente bicamerale alla coscienza avviene intorno all’anno mille a.C. (cioè 3-4000 anni fa) a causa dello sviluppo di una struttura linguistica particolare: la metafora. La coscienza si formerebbe dioè dalla metafora. Ma questo è un altro discorso.

Torniamo alla mente bicamerale e ci chiediamo com’è una persona bicamerale, come si comporta? Per capirlo, dice Jaynes, basta osservare un paziente affetto da schizofrenia. La schizofrenia, non sarebbe altro che una vestigia dell’antica forma mentale bicamerale che un tempo fu universale. Gli schizofrenici sentono le voci e obbediscono ad esse esattamente come facevano i Sumeri o gli Assiri cinquemila anni fa.
Jaynes non si limita a questo ma fornisce uno schema di sviluppo della mente bicamerale analizzando l’evoluzione della lingua. Il linguaggio, dice, è la causa dello sviluppo della mente umana; non la conseguenza. La mente bicamerale nasce perciò dal linguaggio, così come la coscienza.
Ma in che modo?

I più importanti step evolutivi del linguaggio che hanno successivamente portato alla formazione della mente bicamerale sono quattro: le urla, i nomi comuni, gli ordini e i nomi propri.
Dalle urla che rappresentano segnali di pericolo generico, si passa, attraverso alcuni modificatori del suono, a urla diverse per segnalare pericoli diversi. Si viene così a creare una serie di segnali sempre più specifici che diventeranno nel tempo nomi comuni designanti aspetti sempre più ristretti della realtà. La conseguenza psicologica di questa evoluzione linguistica è la comparsa dell’immaginazione e della capacità discriminatoria. I nomi, rendono il mondo più vario.
Una volta nominate le cose e le azioni, il linguaggio è maturo per produrre i comandi, gli ordini. Gli ordini rappresentano uno sviluppo cruciale perché attraverso di essi gli uomini possono portare a termine compiti complessi seguendo serie di istruzioni. Ma, affinché le istruzioni rimangano nella mente il tempo sufficiente per essere eseguite, è necessario un meccanismo mentale che continui a ripetere l’ordine, mantenendo alta la concentrazione fino al suo compimento. E visto che non esiste ancora la coscienza, si sviluppa una zona cerebrale adibita alla ripetizione degli ordini sotto forma di allucinazioni uditive. Gli uomini bicamerali sentono le voci.
A questo punto la struttura della mente bicamerale è quasi completa. Manca solo l’ultimo step e cioè l’invenzione dei nomi propri.
Con i nomi propri, gli umani diventano persone, che possono essere ricordate anche quando non sono fisicamente presenti. Gli elementi più forti, grazie ai nomi propri, acquisiscono un’identità e diventano capi che continuano a comandare attraverso il ricordo che suscitano negli altri. Le voci allucinatorie vengono legate a questi capi carismatici i quali possono ora esercitare la propria influenza anche dopo la morte. È questo il momento in cui i capi diventano dèi, continuando dalla tomba a governare attraverso le voci allucinatorie che il loro ricordo genera nei successori.
La mente bicamerale è ora completamente sviluppata e può svolgere il suo compito di controllo sociale al punto da trasformare le piccole aggregazioni di cacciatori-raccoglitori, nelle quali si è formata, in grosse comunità agricole altamente organizzate. Da qui, comincia la storia.

Ma se una volta il cervello conteneva una zona adibita alle allucinazioni uditive, che fine ha fatto? Non può essere semplicemente scomparsa!
Infatti non lo è anzi esiste ancora solo che è silente.

Le aree cerebrali del linguaggio sono localizzate nell’emisfero sinistro. E ciò di per sé è abbastanza singolare visto che tutte le funzioni importanti sono in genere rappresentate in entrambe gli emisferi. Comunque queste aree del linguaggio sono tre: l’area del Broca, nel lobo frontale in basso, l’area motoria supplementare, nel lobo frontale in alto e l’area del Wernicke nel lobo temporale. Delle tre, la più importante e senza dubbio quella del Wernicke, la rimozione chirurgica della quale causa la perdita permanente della parola sensata.

La cosa interessante è che l’area del Wernicke che si trova nell’emisfero sinistro ha una specie di area gemella nell’emisfero destro alla quale è legata per mezzo di un fascio chiamato commissura anteriore. Questa zona, strutturalmente identica alle aree del linguaggio, sembra non avere alcuna funzione, infatti se viene rimossa chirurgicamente non succede nulla, come se fosse inutile. Bene, Jaynes afferma che questa porzione cerebrale, oggi silente, un tempo era attiva e rappresentava proprio quell’area allucinatoria da cui provenivano gli ordini degli dèi.


Ma c’è un modo per sapere se Jaynes ha ragione? Certo, basta stimolare elettricamente quest’area e vedere cosa succede. È stato fatto? Sì. E cosa succede? 

Possiamo immaginarlo ma prima di rispondere rimane da capire il motivo per cui Jaynes abbia messo in piedi tutto questo popò di teoria. Come mai ha sentito l’esigenza di postulare una mente bicamerale antecedente a quella cosciente? 
Bè perché Julian Jaynes era anche un linguista, oltre che uno psicologo sperimentale, e sapeva tradurre da sé i documenti più antichi dell’umanità. Testi come l’Iliade e l’antico testamento, dice Jaynes, sono esempi mirabili di mente bicamerale e solo leggendoli sotto questa luce appaiono improvvisamente chiari e comprensibili.
Wilder Penfield

Ma torniamo a quella che Jaynes identifica come l’area allucinatoria responsabile delle voci bicamerali, nell’emisfero destro. Abbiamo visto che sembrerebbe una porzione di cervello senza alcuna utilità, ma cosa succede se viene stimolata elettricamente?
Questo esperimento fu compiuto da un neurologo canadese, Wilder Penfield, su una settantina di pazienti con diagnosi di epilessia. Penfield inserì un elettrodo nel lobo temporale destro di questi pazienti in corrispondenza dell’area indicata da Jaynes come responsabile delle allucinazioni uditive nella mente bicamerale. L’intensità della stimolazione elettrica era minima ma anche così si produssero degli effetti evidenti. Quali? Il risultato fu che i pazienti rimasero alquanto scossi da questa esperienza perché, ogni volta che l’elettrodo veniva attivato… sentivano voci. 






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