L’idea di superiorità razziale è ancora molto comune a vari livelli di consapevolezza, e serpeggia con relativa regolarità in ogni popolo o gruppo vincitore.
In linea di massima, si tende a supporre che le civiltà avanzate siano il frutto di individui migliori: se un popolo è più progredito di altri significa che gli individui di cui è composto possiedono mediamente qualità superiori. Questa convinzione fu alla base del cosiddetto razzismo scientifico del primo Novecento quando molti intellettuali dell'epoca tentarono di spiegare la superiorità della civiltà occidentale con criteri da loro ritenuti scientifici e, rifacendosi all'evoluzionismo di Darwin, si convinsero che il genere umano fosse suddiviso in razze, ognuna a un diverso grado di evoluzione rispetto alle altre. Le intenzioni erano buone - dare una spiegazione all'enorme distanza civile che separava gli europei dai selvaggi dell'Africa, dell'India e delle Americhe - il presupposto di partenza invece era sbagliato. A fronte di un'evidente superiorità civile, infatti, tutti gli sforzi per trovare la prova scientifica di una superiorità individuale o razziale, risultarono vani e in molti casi anche grotteschi.
Nonostante ciò, quella tacita equazione secondo cui a gruppi più progrediti corrispondono individui più progrediti, alberga ancora nella mente di molti perché a un livello superficiale non si vede altra soluzione: del resto, il successo di una squadra è determinato dai suoi giocatori, no?
Se quell'equazione fosse vera, avremmo una giustificazione antropologica del razzismo che dovremmo accettare anche se infrange la
morale - la natura non si cura delle nostre sovrastrutture e, in termini
biologici, parole come etica, morale, giustizia, bellezza, dignità, onore ecc.,
non hanno il minimo senso.
Se dunque fosse vero che a culture superiori corrispondono
individui superiori, dovremmo prenderne atto e dire, ad esempio, che
l’Occidente è fatto di materiale umano strutturalmente migliore rispetto al
Medio Oriente, o all’Africa. Dovremmo a questo punto riconoscere che esistono razze ordinabili gerarchicamente per facoltà intellettive e morali; e che non siamo tutti uguali.
Come possiamo essere uguali ai beduini del deserto se noi facciamo i viaggi intercontinentali mentre loro vanno in giro col cammello?
Il punto però è che se prendiamo un beduino alla
nascita e lo facciamo crescere nel nostro ambiente, questi diventa uno di noi,
e magari arriva anche in alto - molti afroamericani fanno ormai parte della
classe dirigente e si ritrovano premi Nobel distribuiti tra diverse etnie e popoli. Basta quindi la semplice osservazione dei fatti per concludere che mediamente non vi è alcuna differenza tra le facoltà intellettive degli europei e dei beduini o dei boscimani o degli aborigeni australiani e quant'altro. Piuttosto la vera domanda da porsi dovrebbe essere questa:
se il beduino e l'europeo hanno uguali capacità intellettuali e morali allora da dove derivano le differenze culturali?
In altri termini: se il progresso culturale non è legato alle facoltà intellettive, da cosa può essere mai determinato?
La risposta è: dall'ecologia.
Armi, Acciaio e Malattie di Jared Diamond |
Nel suo libro Armi, Acciaio e Malattie, Jared Diamond spiega molto bene come
lo sviluppo culturale sia dovuto a una serie di cause di natura esclusivamente
ecologica.
L'agricoltura e la domesticazione degli animali - che furono elementi cruciali per gli sviluppi successivi - poterono svilupparsi soltanto in un'unica, piccola zona del pianeta, dove vivevano uomini mediamente intelligenti, ma molto, molto fortunati.
Un cambiamento climatico - la fine della glaciazione, circa 10.000 anni fa - indusse gli uomini che abitavano una
zona eccezionalmente ricca e fertile (la cosiddetta Mezzaluna Fertile in Medio Oriente) ad abbandonare lo stile di vita di caccia
e raccolta per dedicarsi a un’economia di tipo agro-pastorale. Questi uomini
non possedevano particolari facoltà mentali, ma ebbero la fortuna
di trovarsi in condizioni ambientali tali da dover passare per forza dalla
caccia-raccolta all’agricoltura e all’allevamento degli animali. Divennero così contadini e si ritrovarono a portata di mano cibo ad alto
valore energetico, come il frumento, e animali particolarmente miti da usare
come cibo, come mezzo di locomozione e come importante aiuto per il lavoro nei
campi.
In altre parti
dove non vi fossero terreni estremamente fertili, questo passaggio non avvenne
e gli uomini di quei luoghi continuarono a vivere di caccia e raccolta, ignari del fatto che un giorno la loro discendenza sarebbe stata conquistata dai contadini (e tacciata di inferiorità morale e intellettiva).
L’agricoltura produsse un’esplosione
demografica con relativa conquista dei territori circostanti. Nel corso di
questa espansione i contadini che superarono i monti del Caucaso raggiungendo
la steppa vi trovarono il cavallo che diede loro ulteriori enormi vantaggi. La
rivoluzione prodotta a causa della domesticazione del cavallo non fu inferiore
a quella causata dall’agricoltura. Grazie al cavallo, questi contadini più forti, più potenti, capaci di coprire velocemente lunghe distanze e
combattere in maniera più efficace, si spinsero fino a nord dove trovarono
altri animali miti e addomesticabili come le renne.
I discendenti dei contadini originari della Mezzaluna Fertile poterono quindi prosperare, aumentare di numero e colonizzare aree sempre più vaste unicamente grazie a fattori ecologici e fortuiti. In ogni popolazione, il numero degli inventori costituisce sempre una piccola percentuale. Aumentando il numero degli individui aumenta di conseguenza anche quello degli inventori. Inventarono così la ruota, svilupparono la lavorazione dei metalli, inventarono il cocchio da guerra e poi tornarono a sud del Caucaso per conquistare tutto il medio oriente fino all’Egitto armati in modo tale da non temere confronto col le popolazioni preesistenti.
Il resto è storia di Sumeri, Assiri, Babilonesi, Egiziani e così via.
I discendenti dei contadini originari della Mezzaluna Fertile poterono quindi prosperare, aumentare di numero e colonizzare aree sempre più vaste unicamente grazie a fattori ecologici e fortuiti. In ogni popolazione, il numero degli inventori costituisce sempre una piccola percentuale. Aumentando il numero degli individui aumenta di conseguenza anche quello degli inventori. Inventarono così la ruota, svilupparono la lavorazione dei metalli, inventarono il cocchio da guerra e poi tornarono a sud del Caucaso per conquistare tutto il medio oriente fino all’Egitto armati in modo tale da non temere confronto col le popolazioni preesistenti.
Il resto è storia di Sumeri, Assiri, Babilonesi, Egiziani e così via.
Quando gli spagnoli sbarcarono nelle Americhe nel 1492, si trovarono di
fronte a civiltà formidabili ma che non conoscevano i metalli, non avevano il
cavallo, non avevano la scrittura e non avevano nemmeno, per loro sfortuna, la
resistenza ai batteri che l’uomo occidentale invece aveva sviluppato dopo
migliaia di anni di convivenza con gli animali domestici. I nativi americani non erano certo intellettualmente inferiori agli europei, semplicemente non avevano avuto condizioni ambientali tali da costringerli allo sviluppo tecnologico che invece sperimentarono gli antenati europei.
Devono essere considerati per questo una razza inferiore?
Devono essere considerati per questo una razza inferiore?
Allo stato attuale, per molte persone la risposta è ancora: sì.
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