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Cultura solidaristica
Contro
Antropocentrismo
Ci sono ormai diversi movimenti di pensiero che vanno sempre più verso una progressiva civilizzazione dell’umanità. Uno di questi prevede il tentativo di trasformare la cultura antropocentrica in cui viviamo in una cultura che potremmo definire ecocentrica o, meglio ancora, solidaristica.
La cultura antropocentrica pone l’uomo al centro
dell’universo e nasce con Socrate. Prima di lui i filosofi appunto presocratici,
erano affascinati dalla Natura e cercavano di individuare l’origine
dell’universo, il principio primo, l’arché. A partire da Socrate e dai sofisti
invece l’attenzione si sposta sull’uomo. Conosci te stesso, diceva Socrate, a
stabilire una differenza tra la conoscenza dell’uomo e quella della natura. Dal
canto suo Protagora, padre della sofistica, diceva che l'uomo è la misura di
tutte le cose, ponendo quindi l'essere umano come criterio al centro
dell'universo. Dopo questi filosofi, tutti gli altri si occuparono di studiare
l'uomo, quasi tralasciando lo studio di come fosse nato l'universo, argomento
di cui si erano occupati i presocratici. Le riflessioni sulla natura
continueranno sì a esistere, ma costituiranno una branca minore della filosofia
che sarà ironicamente quella ad avere più successo culminando con Galileo nella
nascita della scienza moderna.
Già a partire da Socrate e dai sofisti quindi viene creata
una frattura tra uomo e natura a prefigurare quello che nei secoli a venire
sarebbe stato il dualismo cartesiano tra anima e corpo.
Se dunque nella visione antropocentrica l’uomo è il centro
dell’universo, di conseguenza tutto ciò che lo circonda è asservito ai suoi
bisogni e alla sua volontà. L’uomo è, in sostanza, il legittimo proprietario
della Natura. In questa prospettiva, la riflessione etica nasce e si esaurisce
all’interno del genere umano. Per cui vengono riconosciuti all’uomo dei diritti
inalienabili, i diritti umani appunto (diritto alla vita,
all’autodeterminazione, alla libertà ecc.), i quali non si estendono al resto
del mondo animale né all’ambiente circostante. L’antropocentrismo costruisce in
definitiva un cerchio dei diritti che racchiude e protegge l’uomo e l’uomo
soltanto, in virtù della sua posizione apicale nei confronti della natura.
La cultura che invece si oppone all’antropocentrismo, cioè
quella biocentrica o solidaristica, considera l’uomo come parte della natura,
non padrone, e mira di conseguenza a estendere il cerchio dei diritti anche al
di fuori del genere umano fino a comprendere alcune o tutte le specie animali. Secondo
la visione solidaristica dobbiamo cominciare a trasferire i principi etici che
regolano la nostra convivenza (non far soffrire, non essere violenti, non uccidere)
anche al mondo animale. Ma la domanda è: perché, per quale motivo?
Nella scala evolutiva, nel percorso evolutivo che rende un animale
sempre più complesso, c’è una progressiva elaborazione del dolore e della
sofferenza. Molte specie animali sono giunte a un tipo di situazione
neuro-psichica vicina a quella dell’uomo. Certo gli animali non possono
parlare, ma c’è un linguaggio non verbale con cui riusciamo a capire la loro
gioia, il loro dolore, la loro sofferenza, la loro gelosia, il loro senso di
abbandono, il loro bisogno di affetto. Da questo possiamo capire quanto, almeno
una parte del regno animale, sia molto vicina a noi come sensibilità. Perciò secondo
la concezione solidaristica è giusto includerli nel nostro codice etico
rispettando il loro diritto alla vita, il ché naturalmente implica che non
dobbiamo ucciderli e mangiarli.
L’antropocentrismo, dicono i solidaristi, è una costruzione egoistica che può giusto soddisfare la nostra autostima ma che non ha nulla a che fare con la realtà. Oggi sappiamo con certezza infatti di non essere al centro del mondo e lo sappiamo soprattutto per via delle tre grandi rivoluzioni concettuali che hanno prodotto altrettante ferite narcisistiche nel nostro ego. La prima ferita è quella astronomica e viene inflitta da Copernico a partire dalla metà del Cinquecento, quando viene rovesciata l'ipotesi millenaria della Terra al centro dell'universo. La seconda ferita è la rivoluzione biologica causata dalla teoria evoluzionistica di Darwin che, oltre ad aver ricollocato l'uomo alle sue origini naturali (invece che divine), ha anche inserito un meccanismo (quello della selezione naturale) come motore principale della storia naturale. Infine la terza ferita viene inflitta da Freud con la scoperta dell’inconscio e la conseguente impotenza del soggetto cosciente di fronte alle pulsioni più intime, nascoste e profonde della vita mentale.
Perciò, non siamo padroni dell’universo, non siamo padroni della natura e non siamo neanche padroni di noi stessi.
L’antropocentrismo, dicono i solidaristi, è una costruzione egoistica che può giusto soddisfare la nostra autostima ma che non ha nulla a che fare con la realtà. Oggi sappiamo con certezza infatti di non essere al centro del mondo e lo sappiamo soprattutto per via delle tre grandi rivoluzioni concettuali che hanno prodotto altrettante ferite narcisistiche nel nostro ego. La prima ferita è quella astronomica e viene inflitta da Copernico a partire dalla metà del Cinquecento, quando viene rovesciata l'ipotesi millenaria della Terra al centro dell'universo. La seconda ferita è la rivoluzione biologica causata dalla teoria evoluzionistica di Darwin che, oltre ad aver ricollocato l'uomo alle sue origini naturali (invece che divine), ha anche inserito un meccanismo (quello della selezione naturale) come motore principale della storia naturale. Infine la terza ferita viene inflitta da Freud con la scoperta dell’inconscio e la conseguente impotenza del soggetto cosciente di fronte alle pulsioni più intime, nascoste e profonde della vita mentale.
Perciò, non siamo padroni dell’universo, non siamo padroni della natura e non siamo neanche padroni di noi stessi.
Per quanto sgradevoli, queste tre ferite narcisistiche hanno
però prodotto effetti eccezionali nella vita dell’uomo innescando, proprio
grazie a una visione del mondo più vicina alla realtà, lo sviluppo scientifico
e tecnologico di cui godiamo oggi.
Se le scienze naturali hanno dunque abbandonato da tempo la
visione antropocentrica traendone notevole profitto così dovrebbe essere anche
per le scienze sociali nella prospettiva di aumentare il grado di
civilizzazione della società. Il progresso sociale di un Paese infatti si
misura dall’ampiezza del suo cerchio dei diritti. Nelle società più arretrate
da quel cerchio sono escluse le donne, gli omosessuali, gli indigenti, i
seguaci di religioni diverse e abbiamo così il sessismo, l’omofobia, il
razzismo. I Paese più civilizzati invece includono queste categorie nel loro cerchio
dei diritti ma si fermano al limite del genere umano e accettano di fatto la
crudeltà degli allevamenti intensivi, per esempio, ai danni di animali capaci
di soffrire tanto quanto noi.
Dolore e sofferenza sono quindi il punto nodale. La cultura solidaristica
si contrappone a tutte quelle visioni antropocentriche fondate
sull’indifferenza verso il dolore altrui. Va quindi contro il sessismo, il
razzismo e contro lo specismo cioè la concezione che una specie (quella umana)
debba essere padrona di tutte le altre. Tutti questi -ismi hanno come minimo
comun denominatore l’indifferenza verso il dolore di ciò che considerano altro
da sé. Il sessista non si cura del dolore dell’altro sesso e così la moglie
diventa una proprietà del marito; il razzista non si cura del dolore dell’altra
razza così un ariano può schiavizzare o uccidere un ebreo, lo specista è
indifferente alla sofferenza delle altre specie animali perciò un essere umano può
immobilizzare un vitello per sette mesi prima di macellarlo perché la sua carne
rimanga bianca e possa essere venduta a prezzo più alto.
Se in ogni società civilizzata razzismo e sessismo sono
immorali, allora dovrebbe esserlo anche lo specismo e pertanto da superare.
Queste sono solo le ragioni morali del movimento
solidaristico, ma ne esistono altre più popolari che riguardano soprattutto la
cura della salute umana. Sempre più studi scientifici infatti dimostrano come
una dieta equilibrata che escluda anche totalmente le proteine animali sia in
grado di prevenire e, in qualche caso addirittura di curare, moltissime
patologie. Di queste ragioni sarebbe lungo e forse anche inutile parlare visto
che sono all’ordine del giorno e al centro di un dibattito molto vivo. C’è da
dire però che almeno in teoria una cosa dovrebbe essere fatta perché è giusta,
se lo è, e non perché comporta dei vantaggi. Se quindi si ritiene ingiusto
torturare, uccidere, smembrare e mangiare un animale, tanto dovrebbe bastare
per cambiare atteggiamento.
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